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Coronavirus: cosa dobbiamo fare?

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Stiamo vivendo, proprio in questi giorni, un'epidemia virale. Una malattia, chiamata Covid e causata da un virus appartenente alla famiglia (molto numerosa) dei Coronavirus.
Causa normalmente di raffreddori e sindromi parainfluenzali nell'uomo (e di altre malattie negli animali), questo di cui parliamo è in realtà un nuovo ceppo che per l'uomo non era mai stato causa di malattia. Probabilmente passato da un animale all'altro e poi, modificatosi ("mutato", un processo che avviene spessissimo nei virus) passato all'uomo.

È proprio questa la prima caratteristica di questo virus (e, forse, il primo pericolo): non lo conosciamo.
Non sappiamo bene cosa causi, non abbiamo esperienze passate e il nostro organismo non è mai stato a contatto con lui e quindi non ha nessuna difesa "pronta" per contrastarlo.
In più, la battaglia contro le malattie virali è molto difficile. Non ci sono cure, quando ci sono spesso funzionano poco e quello che possiamo fare è prevenirle (con un vaccino) o curarne i danni. In questo caso manca anche il vaccino (proprio perché "nuovo" non lo abbiamo mai preparato) e quindi non ci rimane che aspettare, vedere cosa succede e riparare i danni.

Le malattie virali sono sempre, più o meno dannose. Questa malattia sembra essere simile all'influenza (la malattia è una sindrome simil-influenzale, ha sintomi molto simili come tosse, dolori articolari, stanchezza, febbre) ma in particolare può causare una polmonite (infezione dei polmoni) che può complicarsi e diventare davvero subdola e pericolosa.
Ma come possiamo contrastare questa epidemia?

Sicuramente le prime misure sono quelle igieniche, fondamentali:

- Pulizia delle mani (già con acqua e sapone, meglio con disinfettanti), ripetuta.
- Igiene generale e degli ambienti, aerandoli spesso. Disinfestazioni e disinfezioni di spazi aperti e pubblici sembrano poco efficaci e dannosi per ambiente e persone.
- Evitare luoghi affollati e con contatti troppo ravvicinati e luoghi chiusi per troppo tempo.
- Non stare a contatto con soggetti a rischio o ufficialmente ammalati.

Ovviamente non è sempre facile seguire tutte le norme di sicurezza, serve impegno ma a volte non si riesce. Quelli elencati sono comportamenti della persona, che ognuno di noi può applicare, dipendono dalle nostre abitudini e dalla nostra volontà ma come ridurre in generale, in una popolazione, il rischio di contagio?
Ecco, per limitare le epidemie (più contagiati ci sono, più malati, più danni sociali ed economici, più decessi, complicanze, problemi, spese, posti letto occupati). serve prendere anche delle contromisure sociali, generali, nella popolazione.

Una delle più note e importanti è il "distanziamento sociale" ovvero, come dice la frase stessa, tutti quei gesti che diminuiscono la possibilità che tante persone si trovino assieme e molto vicine e quindi che aumenti la possibilità di contagio e che, anche in caso di contagio, questo avvenga tra meno persone possibili.
Un esempio: se una persona è malata e si trova in un'aula universitaria con trenta persone probabilmente contagerà almeno una quindicina di esse che poi, a loro volta (dipende dalla contagiosità del virus) ne contageranno altre. Se la stessa persone si trova in una discoteca con 300 persone ne contagerà 60 che, a loro volta, ne contageranno altre ma, come si può capire, il secondo caso è molto più dannoso e rischioso del primo.
Per questo il distanziamento sociale è considerato una pratica utile e da considerare in caso di epidemia e questo sta succedendo anche da noi in Italia. Scuole chiuse, riunioni e manifestazioni rimandate e poi distanziamento volontario. Le persone, spontaneamente, per precauzione (e per paura, a volte) evitano i luoghi pubblici, gli ospedali, gli assembramenti.
Ma il distanziamento sociale serve? E in particolare, come andrebbe fatto?
Proviamo a vedere se qualcuno ha studiato il fenomeno.



In caso di epidemia è chiaro che la logica ci dice che evitare eccessivi contatti e rischi di essere vicini a qualcuno che sia stato infettato dal virus siano un mezzo utile per limitare i contagi. Il problema è che ha un fortissimo peso sociale e economico.
Socialmente distanzia le persone, i rapporti, le amicizie, addirittura le parentele. Gli alunni non hanno più contatti, spesso nemmeno di gioco. Non è positivo. Le comunità più forti sono quelle unite, non quelle disunite o che evitano i contatti e sia per gli adulti che per i giovani i danni possono essere importanti. Economicamente, è chiaro, evitare di uscire, di frequentare posti affollati o di ritrovo, determina grandi perdite economiche per chi ha attività nei servizi, nel campo del ristoro, dello svago, del commercio in generale ma anche dei piccoli commercianti. Attività che fanno della "folla" una fonte di guadagno.
Allora cosa si può fare?
Abbiamo visto che anche il nostro paese ha adottato delle misure (prima tra tutte la chiusura della scuola nelle zone più a rischio) che si possono definire di "distacco sociale".
Vediamo le varie misure una per una.

Chiusura delle scuole.

Sembra che la chiusura delle scuole abbia una certa efficacia e per bilanciare l'efficacia nel limitare i contagi con il danno della mancata frequentazione delle lezioni da parte degli alunni, le scuole dovrebbero essere chiuse per il minor tempo possibile. Più o meno con chiusure settimanali al limite da rinnovare secondo le esigenze. L'efficacia di questo provvedimento è moderata e alcuni studi sembrano mostrare una buona capacità di ridurre la trasmissione di malattie influenzali con risultati incoraggianti come una riduzione di trasmissione della malattia, un ritardo del picco dei casi (che aiuterebbe a gestire meglio l'epidemia) di una o due settimane e una riduzione delle ondate epidemiche (meno picchi nelle regioni colpite). In media, secondo le varie modalità di epidemia e di chiusura delle scuole (misure "proattive" cioè prima che vi sia un focolaio epidemico, a scopo preventivo e "reattive", cioè in risposta a casi già presenti) l'efficacia della chiusura è moderata, va dal 7-12% di riduzione dei casi di contagio o nelle stime più ottimistiche fino al 50% 

Ci sono però anche studi (di meno) che non notano differenze tra ondate epidemiche con chiusura delle scuole e senza chiusura. Grandi differenze tra le stime statistiche (i "modelli" creati dagli studiosi) e i risultati nella vita reale, probabilmente perché gli studenti, anche a scuola chiusa, non restano chiusi a casa e frequentano altri posti pubblici riducendo l'impatto della chiusura scolastica.
Come si vede, almeno le stime, non notano un effetto importantissimo ma davanti a un allarme anche una lieve riduzione del danno è già qualcosa.
Tra i problemi causati dalla chiusura delle scuole ci sono quelli sociali del mancato contatto tra compagni di classe, il ritardo nel programma di studi, i costi economici legati alla chiusura (riorganizzazione trasporti, mantenimento climatizzatori, riposo operatori della scuola, comunicazioni e contatti con le famiglie) e la gestione della famiglia (sono state calcolate fino al 45% di assenze dal lavoro di uno o due genitori per gestione dei figli che non andavano a scuola).

Chiusura uffici.

La chiusura di luoghi di lavoro e uffici è davvero difficilmente praticabile. Si tratterebbe in pratica di un blocco totale delle attività di un paese. Non solo in caso di chiusura di uffici pubblici (poste, servizi elettrici, gas, telefonici), centralini e simili ma anche in caso di chiusura di uffici privati. Si tratterebbe di una misura estrema e che alla fine non sembra neanche così efficace, visto che sono pochi gli uffici (pubblici o privati) dove vi sia un grande assembramento di persone, tranne per alcuni uffici pubblici che però possono prendere alcuni accorgimenti per evitare contatti continui con il pubblico (vetri separatori, barriere, mascherine, distanza e altro).
Alcune stime dicono che, se in una classica epidemia influenzale il 18,6% della popolazione è contagiato, se restassero chiusi il 10% dei posti di lavoro questa soglia diventerebbe 11,9%. Quindi un risultato non eccezionale ma accettabile. Se invece chiudessero il 33% dei posti di lavoro, quella soglia diventerebbe il 4,9%, questo sì un risultato eccezionale. Questo significherebbe che per avere un impatto positivo ed efficace, dovrebbero stare chiusi almeno un terzo dei posti di lavoro.

I danni di questa eventuale chiusura sarebbero enormi e facilmente immaginabili. Oltre a quelli già immaginati per gli uffici pubblici si dovrebbe pensare anche al danno economico nazionale e agli approvvigionamenti di beni e servii per la popolazione in un momento (quello dell'epidemia) di difficoltà.

Telelavoro.

Lavorare da casa. Questo espone il lavoratore a meno contatti pericolosi e il gruppo nel quale lavora abitualmente a rischiare di meno. Lavorando da casa (quando possibile, con connessioni telefoniche o informatiche) il lavoratore ha un rischio molto basso di ammalarsi. Il telelavoro ha un'efficacia moderata nel ridurre le epidemie, uno studio effettuato in Giappone ha mostrato una riduzione del 20% dei casi di contagio influenzale, un altro americano ha notato come chi ha un familiare malato, lavorando da casa, riduce del 30% il rischio di trasmettere la malattia ad altre persone. A questo si aggiunge che questa formula di lavoro è in genere ben accetta e gradita. Il principale problema è la difficoltà di organizzazione di alcuni lavoratori e, in alcuni casi, la difficoltà di connessione informatica. Si tratta comunque di una soluzione che ha un buon impatto sulla riduzione dell'epidemia.

Isolamento (o quarantena) volontario.

È un provvedimento moderatamente efficace. Sicuramente tra tutti i modelli di quarantena, quello più utile è l'isolamento dei soggetti che sono venuti in contatto con un infetto. Sembra che queste forme di contenimento siano utili soprattutto per ridurre e ritardare il picco di casi. C'è però una cosa da prendere seriamente in considerazione: i soggetti isolati in gruppi sono (ovviamente) ad altissimo rischio di contagio e non ci sono differenze se questi soggetti sono isolati in ambienti singoli o separati (abbiamo avuto un piccolo esempio di cosa succede anche in questa epidemia, con la nave da crociera isolata prima dell'attracco che è diventata un piccolo focolaio epidemico). In caso di isolamento quindi bisogna prepararsi all'evenienza di un piccolo gruppo di contagiati preparandosi. Tra i provvedimenti da prendere in caso di isolamento di gruppi è importante il sostegno fisico e psicologico di questi gruppi. Il periodo di isolamento dipende dalle caratteristiche dell'epidemia considerata, può variare da un periodo di una settimana a due ma anche più e un altro punto è proprio definire il periodo corretto di quarantena per evitare confusioni e disorientamento (per esempio zone diverse che fanno quarantene diverse).

Cancellazione di spostamenti di massa.

Sarebbe uno dei provvedimenti forse più efficaci nel ridurre l'espansione dei contagi. Anzi, si può facilmente capire come, se si vietassero gli spostamenti da un posto all'altro, soprattutto nelle grandi distanze, non solo si isolerebbero i focolai di epidemia ma si eviterebbe che questi si diffondano in posti lontani dal focolaio originale. Ma questo è oggi possibile? La risposta è no. Non solo è impossibile perché richiederebbe un blocco immediato e improvviso (l'efficacia viene persa se si ritarda solo di pochi giorni) ma praticamente totale. Sicuramente le persone dovrebbero essere preparate e incoraggiate (e sostenute) nell'evitare spostamenti importanti ma non necessari, in ogni caso questo provvedimento, serio, ha dei limiti. Per essere efficace, un provvedimento del genere dovrebbe prevedere almeno il 50% degli spostamenti (viaggi aerei, treni, mezzi di trasporto cittadini e extraurbani) cancellati. Con le conseguenze che si possono immaginare. Direi improponibile.

Conclusioni.

A conti fatti il distanziamento sociale, una delle armi più diffuse (e tra le poche) per contrastare epidemie di malattie infettive ha una bassa efficacia ma sembra avere comunque un certo impatto nel ridurre l'entità e la gravità di una epidemia. Per questo, in mancanza di altre soluzioni e soprattutto in caso di urgenza di intervento, i vari mezzi di distacco sociale possono essere presi in esame. Punto fondamentale di tutte queste misure è che vanno applicate appena possibile, subito. Un ritardo può renderle meno efficaci o completamente inutili.
Dagli studi effettuati sembra che la chiusura delle scuole per il minor tempo possibile (una settimana rinnovabile secondo le esigenze), il telelavoro per ridurre il numero di persone presenti in uno stesso luogo di lavoro e l'isolamento volontario, rappresentino i mezzi più praticabili e efficaci di distacco sociale.

Alla prossima.

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